Costume Arlecchino nella Commedia
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La maschera di Arlecchino ha origine dalla
contaminazione di due tradizioni: lo Zanni bergamasco da una parte,
e "personaggi diabolici farseschi della tradizione popolare
francese", dall'altra.[1] La carriera teatrale di Arlecchino nasce a metà del cinquecento con l'attore di origine bergamasca Alberto Naselli noto come Zan Ganassa che porta la commedia dell'arte in Spagna e Francia sebbene fino al 1600 - con la comparsa di Tristano Martinelli - la figura di Arlecchino non si possa legare specificatamente a nessun attore.[senza fonte] L'origine del personaggio è invece molto più antica, legata com'è alla ritualità agricola: si sa per certo, infatti, che Arlecchino è anche il nome di un demone ctonio. Già nel XII secolo. Orderico Vitale nella sua Historia Ecclesiastica racconta dell'apparizione di una familia Herlechini, un corteo di anime morte guidato da questo demone/gigante.[senza fonte] E allo charivari sarà associata la figura di Hellequin. Un demone ancora più noto con un nome che ricorda da vicino quello di Arlecchino è stato l'Alichino dantesco che appare nell'Inferno come capo di una schiatta diabolica. La stessa maschera seicentesca evoca in maniera abbastanza palese il ghigno nero del demonio presentando il resto di un corno perso dal diavolo nel suo aspetto più umanizzato. Quanto alla radice del nome, è di origine germanica Hölle König (re dell'inferno), traslato in Helleking, poi in Harlequin , con chiara derivazione infernale.[senza fonte] Questa interpretazione "infernale" del nome è di chiara matrice cristiana. In epoca pagana era credenza condivisa in tutto il centro e nord europa che nel periodo "oscuro" (invernale) dell'anno e in occasione di feste particolari come la notte di Valpurga una Caccia Selvaggia composta di spiriti dei morti corresse per il cielo e sulla terra, con a capo una divinità a seconda del pantheon del luogo; questa Caccia Selvaggia pagana è divenuta poi la schiera dei morti inquieti (i "dannati") sotto il cristianesimo. I nomi sono numerosi per designare questa cavalcata spaventosa. Il francese Hellequin viene forse dal danese erlkonig. Inizialmente, le Hellequins - o Herlequins - erano le donne che cavalcavano con la dea della morte Hel, durante le cacce notturne. Ma passando nella cultura francese, Hel divenne un uomo, il re Herla o Herlequin (dall'antico inglese Herla Cyning poi erlking, tedesco Erlkönig, danese erlkonig, allerkonge, elverkonge, cioè, letteralmente, il "re degli elfi" ). Hellequin - o Hellkin, Hennequin, Hannequin, Herlequin, Arlequin, uno spirito della natura mascherato che sarà ereditato dalla commedia dell'arte italiana, conserverà soltanto l'aspetto del travestimento del personaggio. Ma il particolare che accomuna tutti gli Zanni della Commedia dell'Arte è lo spirito villanesco, alle volte arguto (come il seicentesco Bertoldo di Giulio Cesare Croce), ma più spesso sciocco, ovvero quello del povero diavolo, come nei servi delle commedie sin dall'epoca di Plauto, attraverso le commedie erudite del Quattro-Cinquecento, sino alle commedie alla villanesca di Angelo Beolco, che attorno al primo Cinquecento metterà in scena le sventure del contadino Ruzante. Questa tipologia di personaggi sono legati tra loro dalla ritualità rurale e, attraverso i suoi miti legati alla sfera ctonia, da elementari passioni che si potrebbe definire più bestiali che umane.[senza fonte] Già durante il medioevo, del resto, un certo aspetto di comicità appare con demoni che si aggiravano sulle scene delle sacre rappresentazioni: questo era da un lato probabilmente un tentativo di esorcizzare le paure del soprannaturale, ma anche di mettere in burla il potere dei demoni pagani della terra che erano ancora molto presenti nell'immaginario popolare, soprattutto nelle campagne, ed esercitavano ancora un grosso potere che l'ascesa del Cristianesimo non era riuscito a sradicare. D'altronde, i principali strumenti per esorcizzare la Morte sono, nel folklore popolare, il riso e l'osceno, come fin dai tempi più antichi dimostra il mito di Baubo. Lo stesso Alichino della Divina Commedia, cui si è accennato in precedenza, eredita - giocoforza - questo tratto burlesco. Arlecchino nella commedia [modifica] Arlecchino approda nei palcoscenici al tempo dei saltimbanchi, dei cerretani e simili che hanno percorso le piazze e le fiere italiane sin dal Medioevo. Lo Zanni dei cerretani è presente in molte raffigurazioni (es. l'incisione della Fiera dell'Impruneta di Jacques Callot) sia anteriori che posteriori alla sua nascita come personaggio della Commedia dell'Arte. Arlecchino è un personaggio diretto discendente di Zanni dal quale eredita la maschera demoniaca (sebbene spesso la maschera di Zanni è stata rappresentata bianca) e la tunica larga del contadino veneto-bergamasco. Infatti la prima incisione di Arlecchino, che si trova nel libro Composition de Réthorique, di Tristano Martinelli, forse il primo Arlecchino o il primo attore che impose una forte presenza scenica a questo personaggio, porta ancora la tunica larga con molto bianco e alcune pezze colorate sparse.[senza fonte] Ma già sin dalle incisioni della Raccolta Fossard, precedenti a Martinelli, Arlecchino appare invece con un vestito molto aderente quasi una calzamaglia; da questo alcuni deducono che Arlecchino discenda direttamente dai giocolieri di strada che notoriamente avevano il costume attillato. Tristano e il fratello Drusiano Martinelli sono i primi Arlecchini conosciuti, Drusiano partì alla fine del ‘500 per una tournée in Spagna, mentre il fratello Tristano ebbe la buona ventura di essere incluso nella compagnia dei comici che il Duca di Mantova inviò nel 1600 alla corte di Francia per allietare le nozze di Enrico IV di Francia e Maria de' Medici. La compagnia, che si chiamava dei comici Accesi, era una compagnia particolare, perché per l'occasione dei festeggiamenti parigini era composta dal gotha dei comici italiani: fra questi Nicolò Barbieri in arte Beltrame, Piermaria Cecchini in arte Frittellino e altri comici famosi. Tristano Martinelli che non aveva la notorietà degli altri non tardò ad imporsi con lazzi particolarmente apprezzati dalla reale coppia e dai cortigiani. Spesso Arlecchino usciva di scena e dialogava col pubblico, accettava suggerimenti e la cosa spiacque non poco agli altri attori della compagnia degli Accesi. Il Cecchini decise quindi ad un certo punto di sciogliere la compagnia, ma il Duca di Mantova per tutta risposta nominò Arlecchino nuovo capocomico. La forte presenza scenica di Martinelli, Arlecchino come continuerà a firmarsi fino alla morte, fu sempre un ostacolo alla buona pace delle compagnie comiche. Antoine Watteau -Commedianti Italiani (al centro l'Arlecchino Tommaso Visentini) Altri arlecchini divennero molto famosi nel corso dei secoli, attori come Dominique Biancolelli e Tommaso Visentini ebbero gran fama ma uno dei più importanti arlecchini della storia del teatro fu senz'altro Antonio Sacco o Sacchi. In realtà il nome in arte di Sacco era Truffaldino ma è evidente che questa non è che una sottigliezza per evitare di essere confuso con un Arlecchino suo contemporaneo. Antonio Sacco è stato l'ultimo grande Arlecchino della Commedia dell'Arte, colui che ha incontrato sulla sua strada Carlo Goldoni che ha scritto tanti capolavori per il suo personaggio. La riforma goldoniana, però, prevedeva il lento declino delle maschere in scena fino alla loro pressoché totale scomparsa, ma Antonio Sacco trovò allora in Carlo Gozzi un estimatore dell'antica Commedia dell'Arte e Arlecchino continuò ad andare in scena almeno fino agli ultimi decenni del XVIII secolo. Con l'inizio del XX secolo rinasce una certa curiosità per questa arte teatrale che ormai era definitivamente scomparsa, molti critici si occuparono della Commedia dell'Arte da Konstantin Miclaševskij ad Allardyce Nicoll da Silvio D'Amico a Benedetto Croce. Anche alcuni registi teatrali tentarono l'impresa di rimettere in scena il teatro delle maschere, ma il vero problema era trovare degli attori veramente capaci di esprimere le passioni col corpo perché nascosti dalla fissità della maschera. Fra i registi che riuscirono nell'intento citiamo i due più famosi: Max Reinhardt e Giorgio Strehler, ambedue scelsero la stessa opera cioè Il servitore di due padroni di Goldoni per rimettere in scena Arlecchino (Strehler cambiò il nome della commedia in Arlecchino servitore di due padroni). Questa commedia goldoniana era stata scritta per evidenziare la presenza scenica di Antonio Sacco che è il vero e proprio mattatore di tutta la vicenda, una commedia costruita ad hoc per un grande Arlecchino. Nonostante le difficoltà nel reperire attori all'altezza del ruolo, Reinhardt trovò in Hermann Thimig un grande Arlecchino e Strehler in Marcello Moretti e poi Ferruccio Soleri,oppure gli internazionali di scuola veneta Titino Carrara e Gian Andrea Scarello, attori che hanno replicato per anni questa messinscena passandosi il testimone di Arlecchino come facevano anticamente i comici del ‘600. Se gli altri attori erano legati comunque ad un copione da rispettare, almeno nelle sue parti fondamentali, i servi (ovvero gli zanni), avevano generalmente via libera nell'interpretazione dei loro personaggi. La presenza scenica, i costumi che li caratterizzavano e davano una precisa riconoscibilità all'attore mascherato, obbligavano lo zanni ad usare più il corpo che non la semplice recitazione, come avveniva invece per gli innamorati o il capitano (altri due ruoli obbligatori nelle compagnie della commedia dell'arte). Vi erano comunque anche delle parti recitate e delle battute comiche improvvisate nel repertorio classico degli zanni che sono giunte fino ai tempi nostri. Padre Adriani, un ecclesiastico amante della commedia, isolò, in un suo libro del ‘600, tutta una serie di battute comiche riferite allo zanni napoletano per eccellenza cioè: Pulcinella. Pulcinella rappresentava nelle compagnie comiche dell'Italia centromeridionale l'alter ego del bergamasco Arlecchino cioè il personaggio del servo sciocco, colui che nel linguaggio della commedia dell'arte veniva definito col nome di secondo zanni, in opposizione al primo zanni che era invece il servo arguto, in Goldoni rappresentato da Brighella. Il lazzo cioè la battuta comica, lascia spazio ad una libera interpretazione, sia recitativa che corporea, agli zanni. Le varie testimonianze delle commedie dell'arte messe in scena durante tre secoli, cioè i canovacci raccolti spesso da chi assisteva alle commedie (fra le carte di Galileo, ad esempio, sono stato trovati due resoconti di commedie dell'arte alle quali l'astronomo aveva assistito), ma anche di chi le produceva e metteva in scena, sono testimoni di queste parti libere. La raccolta più nota, sia per la qualità dell'opera che per la fama, quasi leggendaria che avvolge la figura dell'attore-autore-capocomico Flaminio Scala in arte Flavio, è Il Teatro delle Favole Rappresentative che comprende ben 50 canovacci di commedie dell'arte da lui scritte. Oggi, data la scarsità dei documenti coevi a queste rappresentazioni, dei lazzi rimangono soltanto delle note lasciate alla libera interpretazione degli attori. Ciò che sappiamo è che la parola lazzo deriva probabilmente dall'italiano laccio, ma ci sono due diverse interpretazioni cioè: il lazzo è una battuta che conclude un'azione particolarmente comica quindi nell'accezione di laccio, inciampo, lacciulo o trappola creata dal comico per chiamare l'applauso. L'altra interpretazione vuole che il lazzo non sia che una battuta, o un siparietto comico, che interrompe una scena per farne partire una nuova come un'allacciatura tra due parti della commedia. Qualunque fosse la loro origine nello sviluppo dei canovacci rimane soltanto un accenno di ciò che realmente si svolgeva sul palcoscenico. Ad esempio la definizione del “lazzo della mosca” e tutti gli altri tipi di lazzo non sono meglio specificate in senso drammaturgico ma probabilmente ciascun attore aveva un repertorio personale per ciascun lazzo. Ad esempio proprio il lazzo della mosca è stato interpretato in due modi nettamente differenti, anche se in periodi lontani tra loro; nel primo, il più antico, Padre Adriani riporta una battuta di Pulcinella: Pantalone dice al suo servo Pulcinella di stare attento che nella casa dove c'è la moglie, come sempre giovane e bella, non entri nemmeno una mosca; al suo ritorno trova invece la casa piena di corteggiatori, chiedendo spiegazioni a Pulcinella questo risponde candidamente che non è entrata nessuna mosca bensì uomini. L'altro lazzo della mosca viene recitato dall'Arlecchino strehleriano Ferruccio Soleri, in questo caso il lazzo è soltanto corporeo, cioè l'inseguimento dello zanni perennemente affamato di una mosca: quando questi la cattura inizia tutta una serie di gag con le quali Arlecchino rivolgendosi al pubblico esprime la sua felicità a gesti e grida di gioia e durante il quale gioca con la mosca stessa prima di mangiarsela. L'introduzione delle donne in scena fu una delle novità più importanti, e per l'epoca scandalose, della commedia dell'arte professionistica. Nelle feste per il matrimonio di Ferdinando I de' Medici e Cristina di Lorena, svoltasi a Firenze nel 1589, fu invitata a dare una rappresentazione la compagnia comica più famosa in Italia di quel periodo: la compagnia dei comici Gelosi. Questa compagnia era guidata da Francesco Andreini in arte Capitan Spaventa, ma la vera “star” dei Gelosi era sua moglie Isabella Andreini, che recitava con il proprio nome di battesimo, nel ruolo dell'Innamorata. Isabella pare fosse un'attrice di rara bellezza e non esitò nel concedersi alla vista dei cortigiani della festa in abiti succinti nella commedia, messa in scena per l'occasione, intitolata La pazzia d'Isabella. Fu proprio nella scena di Isabella resa pazza dall'amore che Andreini, per motivi scenici, si stracciò le vesti mostrando agli astanti ciò che fino a quel momento era impensabile si potesse mostrare in una rappresentazione teatrale. Fra gli altri comici Gelosi spiccano i nomi di Flaminio Scala, in arte Flavio, colui che scrisse i 50 canovacci di cui abbiamo già accennato, sempre nel ruolo dell'Innamorato, e quello di Giovanni Gabrielli in arte Scapino (o Scappino) nel ruolo del primo zanni. Da questa testimonianza deduciamo che già alla fine del '500 l'antico Zanni, il protagonista delle incisioni della raccolta Fossard e degli affreschi di Trausnitz, si era sdoppiato nei due ruoli di servo arguto e servo sciocco (primo e secondo zanni). In fondo il suo personaggio veniva da lontano se si pensa alla filiazione coi più famosi buffoni di corte a Venezia dalla fine del ‘400 agli inizi del secolo successivo: Zuan Polo e Zuan Cimador (la bravura dei quali è citata anche da Pietro Aretino, nelle Sei Giornate, che riporta una sequenza comica, a due personaggi ma recitata dal solo Zuan Polo, in un teatro veneziano agli inizi del XVI secolo). Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera distribuita con GNU Free Documentation License |