Mantello Bauta Bautta Nobile Veneziano in damasco
Accessori e Mantelli
Euro 169,00
Costumeria Catia Mancini
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La bauta è la sintesi e la maschera più tipica della Venezia del Settecento

La sua particolarità consisteva nel poter essere indossata sia durante il carnevale sia nella vita quotidiana come un comune accessorio (anche se esistevano precise limitazioni stabilite a volte dalla legge) La sua semplice e principale funzione era quella di nascondere il volto.La bauta permetteva anche grazie alla particolare forma di alterare in parte la voce e quindi essere ancora meno riconoscibili e allo stesso tempo riuscire a bere e mangiare senza aver bisogno di levarla. A Venezia tra il XVII e il XVIII secolo indossare una bauta era ormai uno status-symbol tanto che educazione voleva che il rispetto o il saluto era dovuto e cortese a ogni maschera, appunto perché non si poteva subito conoscere chi fosse a indossarla, personaggio di spicco o semplice popolano. Le baute potevano avere varie fattezze.Venivano realizzate dai mascareri in voga al tempo e le dimensioni si dovevano comunque conformare alla comodità dei dai lineamenti del volto, ma in ogni caso essere comunque di tipo “standard” in modo da mantenere la costanza nelle forme e quindi mischiarsi e confondersi nella folla.Durante il carnevale esistevano anche altri mascheramenti, alcuni eccessivi, fantasiosi e ricchi per le feste ufficiali, ma il travestimento più usuale e canonico a Venezia nel Settecento fu la baùta o baùtta.Spesso si tende a confondere la Bauta-maschera con la Bauta-costume. La bauta-maschera  in realtà è la sola “larva” (maschera inizialmente di color nero, poi bianca, fatta in gesso, cartapesta piana giapponese o cuoio). La forma ricopriva tre quarti del volto lasciando leggermente visibile il mento e presentava due fori elittici per gli occhi, gli zigomi evidenziati e lo spiovente che partiva da sotto il naso allargandosi come un becco. Questa conformazione diventava una cassa armonica che rendeva chiusa e contratta la voce deformandone il timbro. La sporgenza che assumeva o di punta o sui fianchi discendenti dagli zigomi era anche un modo comodo per poterla impugnare una volta tenuta in mano.  La bauta-costume è il travestimento nel suo insieme. Comprende cioè la larva, lo xendal o roccolo di pizzo, il tricorno (cappello a tre punte solitamente nero) e il mantello, successivamente sostituito spesso dal tabarro. “Xendal” deriva dalla contrattura della parola “cendale” o “zendale”, che rappresentava una lunga stola in origine di taffettà di seta con la quale le dame si coprivano il capo e le spalle e che si arricchì nel tempo fino a diventare totalmente in pizzo e a forma completamente chiusa.    Questo tipo di accessorio venne in seguito usato anche dagli uomini perché garantiva l’assoluto anonimato e l’impenetrabilità degli sguardi una volta messa la maschera. Il vecchio “zendale” resta ancora con la maschera della moretta o servetta muta.Quasi tutti potevano mascherarsi a Carnevale, le distinzioni di ceto e di sesso cadevano, la bauta permetteva la massima libertà e soprattutto nessuna differenza, tutti simili e tutti confondibili in un garantito e rispettato anonimato.Sotto la bauta alla consueta vesta o toga nobiliare o mantello sfarzoso, si sostituì il più comune tabarro nero, divenendo così un comportamento irregolare che veniva più volte ammonito dagli Inquisitori veneziani.  La bauta nascondeva l’identità e con il tabarro, tutti così vestiti si sarebbe creata una confusione e una somiglianza unica e al tempo era molto importante per gli inquisitori e la polizia individuare con rapidità chi poteva essere pericoloso o meno.Il tabarro era un mantello a ruota in lana scura e solitamente usato dai popolani, specialmente per ripararsi dal freddo invernale nelle campagne ma usato dai briganti perché permetteva di nascondervi sotto armi o qualsiasi altra cosa.Usare il tabarro in città come Venezia stava a significare che si era forestieri o si voleva assomigliare ai forestieri. La necessità del tabarro fu una scelta univoca, il popolo non avrebbe potuto avere gli abiti lussuosi dell’aristocrazia e quindi se ci si voleva uniformare anche per desiderio di scavalcare i limiti dettati dalle regole, l’unica scelta possibile era per l’aristocrazia di usare abiti popolani e quindi il tabarro con la sua ampia ruota di lana nera che annullava ogni colore o distinzione era la soluzione per i nobili nel Settecento.Il termine bauta deriva secondo alcuni storiografi dal piagnisteo “bau… bau…” per l’angoscia dei primi figli degli aristocratici che la videro mentre secondo altri dal termine “bava” che identificava nel dialetto veneziano il roccolo di pizzo che avvolgeva la testa sotto il tricorno.

Fonte: http://win.bauta.it/bauta.asp